Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile. Un piano d’azione tra storia e utopia

Articolo pubblicato sulla rivista “UNI-VERSUM” – n. 29/30 maggio 2019

Ci sono date che diventano storiche anche quando rimangono sconosciute ai più. Una di queste è il 25 settembre 2015, giorno in cui le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile e i rispettivi 17 Obiettivi di sostenibilità (Sustainable Development Goals). Ma ciò che rende storica questa data è soprattutto il fatto che con l’approvazione della suddetta agenda le Nazioni Unite hanno espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.

Questo evento non ha precedenti, non era mai successo che un organo internazionale di tale importanza giudicasse in maniera così critica l’attuale modello di sviluppo adottato dai principali Paesi industrializzati. Non era mai successo che venisse proposto un piano d’azione fatto di obiettivi, indicatori di performance (oltre 240) e target concreti (169 in totale) da raggiungere necessariamente entro il 2030, pena il rischio di collasso del sistema economico e sociale in cui stiamo vivendo.

I 17 Obiettivi dell’Agenda 2030

Per capire l’importanza di tale avvenimento cominciamo con elencare i 17 obiettivi che formano lo scheletro dell’Agenda 2030. Il goal numero uno ha come scopo la fine di ogni forma di povertà ed è seguito dall’obiettivo di porre fine alla fame nel mondo migliorando la nutrizione delle persone e promuovendo un’agricoltura sostenibile.

Assicurare la salute e il benessere per tutti è invece il terzo obiettivo a cui si aggiungono – sempre in ambito sociale – gli obiettivi quattro e cinque che sono rispettivamente: fornire un’educazione di qualità, equa e inclusiva; raggiungere l’uguaglianza di genere per l’empowerment[1] di tutte le donne e le ragazze.

Col sesto obiettivo, garantire a tutti la disponibilità dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie, iniziano invece gli impegni di carattere economico-ambientale come: assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, sostenibili e moderni (Goal 7), incentivare una crescita economica, duratura e inclusiva, un’occupazione piena e un lavoro dignitoso per tutti (Goal 8), promuovere l’innovazione e una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile (Goal 9).

Molti analisiti vedono nelle istituzioni e nei governi la quarta area d’intervento che completa la definizione di sostenibilità e che si aggiunge a quella ambientale, economica e sociale. In questa direzione vanno gli obiettivi dieci, sedici e diciassette: ridurre le disuguaglianze all’interno e fra le Nazioni, promuovere società pacifiche e inclusive, offrire l’accesso alla giustizia per tutti e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.

Mentre la tutela degli ecosistemi e la sostenibilità negli stili di vita delle persone sono inclusi negli obiettivi che vanno dall’undici al quindici, ovvero: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri e duraturi; garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo; conservare e utilizzare in modo durevole i mari e le risorse marine; proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre e delle foreste contrastando la desertificazione e la perdita di diversità biologica; adottare misure urgenti per combattere i cambiamenti climatici e le sue conseguenze (in merito a quest’ultimo punto non è un caso che l’approvazione dell’Agenda 2030 sia avvenuta pochi mesi prima dello storico Accordo sul Clima di Parigi).

L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile e i risultati dell’Italia

Il prof. Enrico Giovannini, attuale portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS)[2] e già Ministro del Lavoro e presidente dell’ISTAT, definisce il percorso dell’Agenda 2030 una “utopia sostenibile” e scorrendo l’elenco degli obiettivi è difficile dargli torto. Utopia Sostenibile è anche il titolo del suo libro uscito nel 2018 (Laterza Editori) in cui ben descrive le finalità del progetto ASviS e le performance del nostro Paese in riferimento ai 17 obiettivi.

Per conoscere nel dettaglio i risultati ottenuti si può fare riferimento al libro o ai report annuali pubblicati sul sito dell’Alleanza (www.asvis.it), l’ultimo dei quali è stato presentato al pubblico lo scorso ottobre.

Leggendo il Rapporto ASviS 2018 ci si accorge che il nostro Paese è in ritardo sulle tempistiche di raggiungimento di molti obiettivi. In particolare il trend degli indicatori evidenziano un peggioramento della povertà, delle condizioni economiche e occupazionali, delle disuguaglianze e della qualità dell’ambiente. “Si sono già persi tre anni per dotarsi di una governance che orienti le politiche allo sviluppo sostenibile – ha commentato durante conferenza stampa il prof. Giovannini – il 2030 è dietro l’angolo e molti Target vanno raggiunti entro il 2020″.

Per quanto riguarda gli altri obiettivi, tra il 2010 e il 2016 la situazione è rimasta invariata nelle aree: acqua e strutture igienico-sanitarie (Goal 6), sistema energetico (Goal 7), condizione dei mari (Goal 14) e qualità della governance, pace, giustizia e istituzioni solide (Goal 16). Siamo invece sulla giusta strada, ma comunque in ritardo, per il raggiungimento degli obiettivi di alimentazione e agricoltura sostenibile (Goal 2), salute (Goal 3), educazione (Goal 4), uguaglianza di genere[3] (Goal 5), innovazione (Goal 9), modelli sostenibili di produzione e di consumo (Goal 12), lotta al cambiamento climatico[4] (Goal 13), cooperazione internazionale (Goal 17).

Sta di fatto che però anche negli ambiti in cui si registrano dei miglioramenti, a meno di immediate azioni concrete e coordinate, sarà impossibile rispettare gli impegni presi dal nostro Paese il 25 settembre del 2015, all’Assemblea Generale dell’ONU.

La situazione europea

Volgendo lo sguardo oltre i nostri confini il rapporto evidenzia come l’Unione europea, l’area del mondo più avanzata rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile, mostra segni di miglioramento rispetto al 2010 per nove Obiettivi su diciassette, per due la situazione peggiora sensibilmente, mentre per quattro la situazione appare sostanzialmente invariata[5]. I problemi si riscontrano in maniera significativa per l’Obiettivo 10 (Ridurre l’ineguaglianza all’interno di e fra le Nazioni), il cui indicatore composito mostra una tendenza decrescente nel periodo osservato (2010-2016), a causa dell’aumento (soprattutto nel biennio 2013-2014) della quota di popolazione a rischio di povertà. Mentre in Finlandia (best performer) l’indice è aumentato continuamente fino a raggiungere quota 118,4, in Bulgaria (Paese peggiore da questo punto di vista) è sceso da 82,7 a 74,7.

L’altro trend negativo è quello riferito all’Obiettivo 15 (Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre, gestire sostenibilmente le foreste, contrastare la desertificazione, arrestare e far retrocedere il degrado del terreno, e fermare la perdita di diversità biologica) che presenta un indicatore sintetico in netto peggioramento, con una perdita di oltre otto punti. Tale andamento riflette il significativo aumento della quota di territorio coperto da opere costruite dall’uomo, a fronte di leggeri miglioramenti della quota coperta da foreste e delle aree terrestri classificate in condizioni “sufficienti” secondo la Direttiva Habitat. In questo caso, tutti gli Stati membri segnalano un peggioramento della situazione, con una classifica guidata dalla Slovenia e chiusa dal Belgio.

La sfida dello sviluppo sostenibile

Tornando in Italia possiamo affermare che il nostro Paese sta perdendo la sfida dello sviluppo sostenibile e serve urgentemente un cambio di passo. Secondo l’ASviS ciò che manca è una visione coordinata delle politiche per costruire un futuro dell’Italia equo e sostenibile e ribadisce l’urgenza di: 1) introdurre lo sviluppo sostenibile tra i principi fondamentali della nostra Costituzione; 2) attivare a Palazzo Chigi la Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile (prevista dalla Direttiva della Presidenza del Consiglio del 16 marzo); 3) dotare la Legge di Bilancio di un rapporto sull’impatto atteso sui 12 indicatori di Benessere Equo e Sostenibile (BES) entrati nella programmazione finanziaria; 4) trasformare il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (CIPE) in “Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile”; 5) adottare un’Agenda urbana nazionale basata sugli SDGs, che si proponga come l’articolazione della Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile per le aree metropolitane; 6) istituire presso la Presidenza del Consiglio un organismo permanente per la concertazione con la società civile delle politiche a favore della parità di genere; 7) predisporre “linee guida” per le amministrazioni pubbliche affinché applichino standard ambientali e organizzativi che contribuiscano al raggiungimento degli SDGs; 8) intervenire con la Legge di Bilancio o con altro strumento normativo agile per assicurare il conseguimento dei 22 Target che devono essere raggiunti entro il 2020; 9) allargare l’insieme d’imprese soggette all’obbligo di rendicontazione non finanziaria in quanto strumento ormai indispensabile per accedere al crescente flusso d’investimenti attivati dalla “finanza sostenibile”.

Il Rapporto va però visto anche come portatore di speranza perché dà conto delle iniziative di numerosi soggetti economici e sociali, nonché di tantissime persone, che stanno cambiando i modelli di business, di produzione, di consumo, di comportamento, con evidenti benefici, anche economici[6].

Tra gli aspetti positivi si segnala l’avvio di programmi educativi nelle scuole e nelle università sullo sviluppo sostenibile. Svariate iniziative finalizzate a coinvolgere imprese, comunità locali e persone singole sulle diverse questioni dell’Agenda 2030. Alcune importanti politiche adottate nel corso del 2017 come l’introduzione del Reddito di Inclusione per ridurre la povertà e la legge contro lo spreco alimentare.

Con l’adozione dell’Agenda 2030 l’Italia e tutti i Paesi firmatari hanno la possibilità di scrivere un pezzo di storia (e un futuro) caratterizzato da equità sociale e sostenibilità. Se tarderemo ancora i 17 obiettivi non verranno raggiunti e rischieremo il collasso del sistema economico e sociale che conosciamo. Impegniamoci tutti affinché l’Agenda 2030 diventi storia e non rimanga utopia.

Andrea Merusi

 

[1] Per empowerment si intende un processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita (Zimmerman M.A., 2000).

[2] L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) è nata il 3 febbraio 2016 per diffondere la cultura della sostenibilità e la conoscenza dell’Agenda 2030. Con i suoi oltre 200 aderenti tra associazioni, università, industrie, enti pubblici, è la più grande rete di organizzazioni della società civile mai creata in Italia.

[3] Rispetto al Goal 5 va specificato che dopo il forte aumento dell’indicatore registrato fino al 2015, si rileva una flessione nel 2016 spiegata dalla diminuzione del rapporto tra i tassi di occupazione delle donne con figli in età prescolare e delle donne senza figli, e dalla netta diminuzione della partecipazione delle donne negli organi decisionali, un dato (13,3%) ancora ben al di sotto della media europea (23,9%).

[4] Dal rapporto si legge che l’indicatore headline (gas serra totali secondo i conti delle emissioni atmosferiche) migliora fino al 2014 in gran parte a causa della riduzione delle emissioni indotte dalla crisi economica, per poi peggiorare nell’ultimo biennio, in corrispondenza con la ripresa del PIL.

[5] A livello europeo si evidenzia un trend in miglioramento per il Goal 3, 4, 5, 7, 8, 9, 11, 12, 13. Risulta stabile per i Goal 1, 2, 16, 17. Mentre per i Goal 6 e 14 non è possibile creare un indicatore composito a causa della mancanza di dati.

[6] Dichiarazione del Presidente ASviS Pierluigi Stefanini.


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