Articolo pubblicato sulla rivista “UNI-VERSUM” – n. 27/28 maggio 2018
Ogni italiano getta nel proprio contenitore di rifiuti circa 76 kg di cibo all’anno. Questo è uno dei dati più impressionanti tra quelli forniti dall’organizzazione Last Minute Market, una società spin-off dell’Università di Bologna nata nel 1998 come attività di ricerca e diventata, nel 2003, realtà imprenditoriale che sviluppa progetti volti al recupero dei beni invenduti a favore di enti caritativi.
Il dato a livello mondiale non è molto più incoraggiante: secondo la FAO un terzo del cibo prodotto viene gettato via o disperso nella filiera, e ogni anno vengono buttate 1,3 miliardi di tonnellate di alimenti. Questo assurdo spreco non ha ricadute solo dal punto di vista etico e sociale (ad oggi sono stimate in 870 milioni le persone che soffrono la fame) ma ha delle significative conseguenze anche da un punto di vista ambientale. Nel 2013 la FAO ha pubblicato il rapporto Food Wastage Footprint: Impacts on Natural Resources, uno studio che analizza l’impatto delle perdite alimentari dal punto di vista ambientale. I risultati ottenuti hanno evidenziato che ogni anno, il cibo che viene prodotto, ma non consumato, sperpera un volume di acqua pari al flusso annuo di un fiume come il Volga; utilizza 1,4 miliardi di ettari di terreno – quasi il 30 per cento della superficie agricola mondiale – ed è responsabile della produzione di 3,3 miliardi di tonnellate di gas serra.
Le conseguenze economiche dirette di questi sprechi si aggirano, secondo il rapporto, intorno ai 750 miliardi di dollari l’anno. Altri studi stimano lo spreco alimentare nel mondo in 2.060 miliardi di euro.
Ma torniamo all’Italia, sempre secondo Last Minute Market lo spreco di cibo – dal residuo in campo allo spreco domestico – ci costa lo 0,5% del nostro Pil, oltre 8 miliardi di euro. Dato confermato anche dall’associazione Slow Food Italia che denuncia come gli sprechi alimentari in Europa avvengono soprattutto tra le mura domestiche.
Valori inaccettabili e paradossali se si pensa che nell’ultimo rapporto dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) sullo spreco alimentare si legge che anche in Italia le condizioni di malnutrizione e obesità sono in rapido aumento. (…) Nel 2016 il 14% della popolazione si trovava in povertà relativa (al di sotto del livello economico medio nazionale) pari a circa 8,3 mila persone, di cui circa 4,6 mila in povertà assoluta ovvero con difficoltà di accesso al cibo e incapacità di acquisire beni e servizi necessari per uno standard di vita minimo accettabile nel contesto nazionale; queste cifre sono in aumento negli ultimi anni.
I numeri sono allarmanti ma c’è una buona notizia: nel settembre 2016 è entrata in vigore in Italia la Legge Gadda del 19 agosto 2016 n. 166 rinominata “Legge sugli sprechi alimentari”. Come si evince dalla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, il fine del provvedimento è la riduzione degli sprechi nelle fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione di tali prodotti attraverso la realizzazione dei seguenti obiettivi prioritari:
- favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari a fini di solidarietà sociale, destinandole in via prioritaria all’utilizzo umano;
- contribuire alla limitazione degli impatti negativi sull’ambiente e sulle risorse naturali mediante azioni volte a ridurre la produzione di rifiuti e a promuovere il riuso e il riciclo al fine di estendere il ciclo di vita dei prodotti;
- contribuire al raggiungimento degli obiettivi generali stabiliti dal Programma nazionale di prevenzione dei rifiuti e dal Piano nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, nonché alla riduzione della quantità dei rifiuti biodegradabili avviati allo smaltimento in discarica;
- contribuire ad attività di ricerca, informazione e sensibilizzazione dei consumatori e delle istituzioni sulle materie oggetto della legge, con particolare riferimento alle giovani generazioni.
L’aspetto più rilevante della Legge è che si semplifica la burocrazia in materia di riutilizzo del cibo e questo rende più semplice donare alimenti. Se, ad esempio, un ristoratore vuole consegnare gratuitamente il cibo rimasto a un’associazione di solidarietà, non sarà più obbligato a segnalarlo con anticipo alle autorità competenti, ma potrà presentare una dichiarazione consuntiva a fine mese. In aggiunta è stata aumenta da 5mila a 15mila euro la soglia oltre la quale diventa obbligatoria la “denuncia” della donazione.
Per quanto riguarda gli sprechi di cibo in fase di produzione e raccolta, questa legge consente il recupero dei prodotti agricoli che rimangono in campo e la loro cessione a titolo gratuito.
Altro aspetto premiante: la legge permette ai Comuni la possibilità di prevedere sconti sulla tassa rifiuti per chi donerà l’invenduto. Mentre per i cittadini che si recano al ristorante consente l’asporto dei propri avanzi con la cosiddetta “family bag“.
L’Italia, attraverso questa legge, si propone di dimezzare gli sprechi alimentari in dieci anni, superando i target definiti dall’Unione Europea per il 2020. E’ una legge che non prevede sanzioni – e forse questo potrebbe frenare un po’ i risultati – ma ha come primo intento la valorizzazione delle buone pratiche e della rete di solidarietà che si è creata in questi anni.
Il bilancio della legge ad un anno dalla sua entrata in vigore sembra essere positivo: secondo la fondazione Banco alimentare si è registrato un aumento del 20% del recupero di eccedenze dalla grande distribuzione da settembre 2016 a settembre 2017, grazie ad un incremento dei volumi delle donazioni, ad una crescita dei punti vendita, ad accordi tra aziende e associazioni di solidarietà, e ad alcune buone pratiche attuate da molti comuni virtuosi.
Anche se i primi risultati sono incoraggianti gli obiettivi da raggiungere sono ancora lontani e per fare in modo che i risultati attesi vengano raggiunti è fondamentale puntare sulla conoscenza e la sensibilizzazione delle persone. Fatta la legge ora bisogna fare i cittadini, attraverso una corretta informazione e con esempi concreti che dimostrino che ridurre gli sprechi alimentari è facile e conviene.
Andrea Merusi