Trivelle SI o trivelle NO? Proviamo a far chiarezza

trivelleArticolo pubblicato su “il Taccuino di Darwin” (www.iltaccuinodidarwin.com) – 02/04/2016

Il 17 aprile si vota, e questa sarebbe già una notizia, dal momento che sui principali media italiani si parla pochissimo del referendum che si terrà tra pochi giorni; già ribattezzato da molti il referendum “NO-Triv”.

Il primo dato da notare è quindi che c’è poca informazione sul tema e che gli unici a far circolare la notizia, soprattutto attraverso i social network, sono i componenti dei comitati del “SI”, cioè quelli contro le trivelle.

Al fine di fare chiarezza e corretta informazione su questo appuntamento proponiamo il seguente articolo che cerca di analizzare brevemente la storia e gli aspetti principali del referendum.

Il Decreto Legislativo 152/2006 Testo Unico in materia ambientale e la Legge di Stabilità 2016

Il tutto nasce dal Decreto Legislativo del 6 aprile 2006 n.152, quello che è considerato il Testo Unico in materia ambientale. E’ una sorta di manuale per chi lavora nel settore e tra le numerosissime disposizioni che regolano tutte le matrici ambientali prevede, all’articolo 6 comma 17, che siano vietate tutte le attività di perforazione marine e costruzioni di nuove trivelle entro le 12 miglia dalla coste marine Italiane. Mentre dispone che gli impianti già presenti possano continuare l’attività fino alla scadenza delle concessioni stabilite (di durata trentennale prorogabile attraverso apposita richiesta per periodi di ulteriori 5 o 10 anni, mentre i permessi di ricerca hanno una durata di 6 anni con massimo due proroghe consentite di 3 anni ciascuna).

Con la legge di Stabilità del 28 dicembre 2015, n.208 è stato sostituito il suddetto comma con il numero 239 dell’art.1 che negli effetti concede di continuare l’attività di estrazione di gas e petrolio agli impianti già presenti fino all’effettivo esaurimento di giacimenti anche se le concessioni risultano scadute.

Quindi, semplificando, non si tratta di un referendum contro la costruzione di nuove trivelle, in quanto tale costruzione è già vietata, ma serve per decidere se prolungare o meno le concessioni per l’estrazione di gas metano e petrolio per gli impianti già attivi e situati entro le 12 miglia (22,2 km) delle coste dei mari italiani.

Chi ha richiesto il Referendum e cosa dice?

Nonostante molte associazioni ambientaliste come Slow Food, Greenpeace, WWF e Legambiente si stiano dando molto da fare per la riuscita del referendum e la vittoria dei SI, è bene precisare che la richiesta è stata fatta da 9 regioni italiane e non attraverso una raccolta di firme tra i cittadini. Si tratta di una consultazione richiesta dalle assemblee regionali di Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise.

In linguaggio corrente il referendum recita: “Volete che, quando scadranno le concessioni, vengano fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane anche se c’è ancora gas o petrolio?“.

Cosa sostiene il comitato del SI?

Il comitato del SI sostiene, principalmente, che estrarre gas e petrolio con il sistema delle trivelle nei mari espone i cittadini e l’ambiente ad un grosso rischio derivante dalla possibile fuoriuscita incontrollata di petrolio nel mare, come purtroppo già successo in diverse parti del mondo (vedi disastro ambientale nel Golfo del Messico o il recente incidente avvenuto vicino alle coste della Tunisia). Inoltre gas e petrolio sono visti come un sistema di produzione dell’energia ormai troppo inquinante ed è per questo che i comitati del SI vorrebbero un maggiore impegno da parte del governo nell’incentivare le energie rinnovabili e nell’avviare un graduale abbandono delle fonti di energia tradizionali derivanti dalla combustione degli idrocarburi.

Cosa sostiene il comitato del NO?

Il comitato del NO, o chi invita all’astensione (dato che se non si raggiunge il quorum il referendum decade) sostiene che i rischi ambientali sono minimi, praticamente assenti. Che l’estrazione di gas e petrolio dalle coste italiane permetterebbe una maggiore autosufficienza energetica per il nostro Paese e che l’arresto e la dismissione delle trivelle una volta terminate le concessioni farebbe perdere numerosi posti di lavoro a chi oggi opera su questi impianti.

Alcuni dati…

Dai dati reperiti in rete si evince che le concessioni per l’estrazione marina di gas e petrolio interessate da questo referendum sono 21 e che la produzione energetica derivante da queste concessioni rispetto al fabbisogno nazionale incida per meno dell’1% per il petrolio e del 3% per il gas.

Dati complessivi che tengono conto di tutte le risorse energetiche provenienti dagli idrocarburi marini e che sono stati forniti dal Unmig, l’ufficio minerario per gli idrocarburi e le georisorse del MISE, e da Assomineraria, stimano che le riserve certe sotto i fondali italiani sarebbero sufficienti (nel caso l’Italia dovesse far leva solo su di esse) a soddisfare il fabbisogno di petrolio per sole 7 settimane e quello di gas per appena 6 mesi.

Ad oggi, le prime concessioni scadranno tra non meno di 5 anni e sono relative ad impianti costruiti negli anni 70.

Piccola riflessione personale..

Circa quattro mesi fa l’Italia si è impegnata insieme ad altri 194 Paesi nel mondo ad approvare e firmare l’accordo di Parigi (COP 21) nato per contrastare a livello mondiale il cambiamento climatico causato principalmente dall’emissione di CO2 derivante dalla combustione di petrolio e gas. L’accordo è stato raggiunto perché è ormai provato scientificamente che il cambiamento climatico sta causando gravi problemi sociali ed ambientali poiché intensifica la frequenza di eventi climatici estremi come siccità, alluvioni e uragani.

Nell’accordo c’è scritto chiaramente che i Paesi firmatari si impegnano ad avviare un processo di abbandono dei combustibili fossili in modo da azzerare le proprie emissioni di gas serra.

L’articolo della Legge di Stabilità che prolunga a tempo indeterminato le concessioni alle trivelle contrasta fortemente con l’accordo di Parigi e da l’impressione, ancora una volta, che le grandi Conferenze Internazionali contro il cambiamento climatico siano inutili e soltanto un palcoscenico per delle belle dichiarazione d’intenti a cui non seguono fatti concreti.

Col referendum del 17 aprile è possibile dare un segnale che questa direzione non è giusta e tantomeno sostenibile. Che gli impegni presi vanno rispettati e che un nuovo modello di sviluppo più rispettoso dell’ambiente è davvero necessario.

Se poi vogliamo entrare nel tecnico è bene dire che la scadenza naturale delle concessioni non implica per forza la dismissione della trivella ma l’eventuale rinegoziazione puntuale della concessione che invece con la Legge di Stabilità verrebbe rinnovata in maniera automatica e indiscriminata a tutti gli impianti. Quest’ultimo aspetto, a cui il referendum si oppone, va inevitabilmente a vantaggio alle compagnie che attualmente posseggono le concessioni.

La perdita dei posti di lavoro in caso di chiusura degli impianti credo sia un problema risolvibile, in quanto le prime concessioni scadranno tra circa 5 anni e quindi c’è la possibilità di affrontare l’eventuale problema per tempo attraverso una riorganizzazione del personale. Di contro, lo stop che c’è stato in questi anni allo sviluppo e all’installazione di alcune fonti di energie rinnovabile (fotovoltaico in primis) ha causato una ben più significativa e imprevedibile disoccupazione nel settore energetico, che ha fatto, purtroppo, poco scalpore ma molti danni.

Infine, dal punto di vista ambientale l’estrazione di petrolio e gas dai fondali marini ha in sé una fonte di rischio, poco probabile se volete, ma comunque presente. Nel mio lavoro sono abituato a prevedere e prevenire i rischi e per stimarne la loro significatività è prassi moltiplicare la PROBABILITÀ che si possa verificare un incidente con l’intensità del DANNO che si verificherebbe (Rischio = Probabilità x Danno). In una scala da 1 a 4 una probabilità media, ad esempio con valore 2, moltiplicata per una danno medio, stesso valore di 2, darebbe una rischio con valore 4 che è considerato un rischio significativo. Applicato al caso delle trivelle si può ipotizzare una probabilità bassissima di rischio (valore 1) ma se l’incidente dovesse avverarsi il danno sarebbe senza dubbio di grande entità (valore 4) per cui il rischio risulta sempre di valore 4 e quindi significativo. Bisogna quindi intervenire e prevenire.

Per questi motivi il 17 aprile andrò a votare e voterò SI.


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